Eccovi il link al sito del Padiglione che consente di conoscere molto bene questo interessante progetto artistico di Archie Moore
Le Biennali di Arti Visive visitate a Venezia, dal 1980... , Domenico Olivero
Eccovi il link al sito del Padiglione che consente di conoscere molto bene questo interessante progetto artistico di Archie Moore
Oggi ha aperto al pubblico, presso la Fondazione Prada a Venezia, la mostra “Monte di Pietà”, un progetto concepito dall’artista Christoph Büchel e in corso fino al 24 novembre 2024.
A partire dalla storia stratificata del palazzo settecentesco Ca' Corner della Regina, sede del Monte di Pietà di Venezia dal 1834 al 1969 e dal 2011 spazio permanente della Fondazione, Christoph Büchel ha costruito una complessa rete di riferimenti spaziali, economici e culturali. “Monte di Pietà” è un’approfondita indagine del concetto di debito come radice della società umana e veicolo primario con cui è esercitato il potere politico e culturale. Storicamente un crocevia di commistioni e scambi commerciali e artistici, Venezia è il contesto ideale per esplorare le relazioni tra questi temi complessi e le profonde dinamiche della società contemporanea.
“Monte di Pietà” si sviluppa come un’installazione immersiva che si articola nel palazzo di Ca’ Corner e, in particolare, nel piano terra, mezzanino e primo piano nobile. Il progetto consiste in un banco dei pegni in fallimento basato sull’aspetto originale del Monte di Pietà di Venezia. In questo contesto è esposta l’opera The Diamond Maker (2020-) che Christoph Büchel ha concepito come una valigia contenente diamanti realizzati in laboratorio. I diamanti sono il risultato di un processo fisico e simbolico di distruzione e trasformazione dell’intero corpus di opere in possesso dell’artista, comprese quelle create nel corso della sua infanzia e giovinezza così come quelle non ancora realizzate. Sono stati prodotti da ALGORDANZA AG, un’azienda globale fondata in Svizzera nel 2004 che realizza diamanti della memoria. “Monte di Pietà” incorpora nuove produzioni, riferimenti a installazioni realizzate in precedenza da Büchel, una selezione eterogenea di oggetti, opere d’arte storiche e contemporanee e documenti legati alla storia della proprietà, al credito e alla finanza, allo sviluppo di collezioni e archivi, alla creazione e al significato di ricchezza reale o artificiale.
L'artista Ruth Patir con i curatori della mostra del Padiglione di Israele hanno deciso di chiudere il padiglione fino a quando non sarà cessato il fuoco e gli ostaggi saranno liberati.
Il Padiglione dell’Azerbaigian presenta, in occasione della sua partecipazione alla 60. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, From Caspian to Pink Planet: I Am Here, realizzato dalla Fondazione Heydar Aliyev e aperto al pubblico dal 20 aprile al 24 novembre 2024.
L’esposizione, a cura di Luca Beatrice e Amina Melikova, trae ispirazione dal tema proposto da Adriano Pedrosa, direttore della 60. Esposizione Internazionale d’Arte- La Biennale di Venezia, per esplorare i diversi significati dell’espressione “Stranieri ovunque/Foreigners anywhere”, interpretati da tre artisti: Vusala Agharaziyeva, Rashad Alakbarov e Irina Eldarova.
La mostra From Caspian to Pink Planet: I Am Here presenta una risposta unica a “Stranieri Ovunque/Foreigners Everywhere”. Il suo ottimismo risiede nella tesi che una persona può essere presente ovunque - fisicamente e/o mentalmente. Anche come straniero, il potere dell'immaginazione e dell'empatia permette di dominare (o di stabilirsi) in un ambiente sconosciuto e di mettervi radici.
Le opere esposte esplorano metaforicamente i legami profondi e resistenti tra gli individui e i loro ambienti. Ciascuna opera, insieme alla varietà di media utilizzati per trasmetterne i concetti artistici, è direttamente collegata al tema generale della Biennale ed è allo stesso tempo una vivida illustrazione dei tratti distintivi della società dell'Azerbaigian.
Spiega Luca Beatrice, co-curatore del Padiglione: “È bastata una veloce visita a Baku per capire l’effervescenza culturale e artistica di questo antico Paese, dove l’architettura contemporanea dialoga con la storia, la tecnologia e l’industria compiono rapidissime accelerazioni e l’arte diventa lo specchio più fedele di questo atteggiamento proiettato verso il futuro”. La mostra ha un titolo intrigante: From Caspian To Pink Planet: I Am Here - un compendio dei titoli delle opere presentate dai tre artisti. C’è il mare locale che si rifornisce di petrolio, una visione filosofica del pianeta, Hollywood, come l'Oriente che incontra l'Occidente, ma, in risposta a Foreigners Everywhere, sopraggiunge l'affermazione definitiva I Am Here.
Spiega Amina Melikova, co-curatrice del Padiglione: "I tre artisti rappresentati quest'anno nel Padiglione dell'Azerbaigian appartengono a generazioni diverse e utilizzano mezzi espressivi e tecniche differenti. Tuttavia, le loro opere selezionate per l'esposizione alla Biennale toccano, in un modo o nell'altro, situazioni che intrecciano realtà e fantasia in cui un individuo deve superare l'alienazione e raggiungere un senso di appartenenza all'interno dello spazio osservato/immaginato".
Inserendosi nel solco tracciato dai curatori, gli artisti hanno ideato e proposto una selezione di opere concepite per invitare il pubblico ad addentrarsi in una delle tematiche culturali e sociali più urgenti del nostro tempo.
Il progetto di Vusala Agharaziyeva, Pink Planet, immagina uno scenario fantascientifico, facendo riferimento alle illustrazioni apparse nelle opere di letteratura futuristica degli anni Cinquanta e Sessanta. Interpretati attraverso una varietà di media, tra cui la pittura, la scultura e le installazioni digitali, i viaggi che hanno plasmato il suo background sono una costante nella narrazione dell'artista, che fa eco alla sensazione di sentirsi estranei alla propria esistenza, qui intravista nell'atto di sbarcare in surreali paesaggi extraterrestri intrisi di vivaci sfumature di rosa.
Rashad Alakbarov espone nel padiglione un'opera di grandi dimensioni, l'installazione I Am Here. Tra le pareti bianche asettiche di una moderna città labirintica, l'artista ricrea l'atmosfera opprimente delle traiettorie anguste e predeterminate del nostro movimento nello spazio vitale, movimento scandito dal ritmo delle strutture in cui siamo costretti a inserirci. Tuttavia, c'è una via d'uscita: il punto è trovare l'angolo da cui l'imperativo è visibile nello specchio (nel senso diretto e figurato della parola) - Io sono qui.
Irina Eldarova afferma che le donne sono fondamentalmente straniere. Si sposano, si trasferiscono dalla casa dei genitori, a volte persino dal loro Paese.
Questa serie racconta l'incontro e l'amore non realistico e fittizio tra due eroi mitizzati dai mass media negli anni '60 e '70 - un tipico lavoratore maschile dei giacimenti petroliferi offshore del Mar Caspio e l'idolo di Hollywood Marilyn Monroe. L'apparizione di uno straniero nella scenografia di una quotidianità industriale già romanzata crea un intrigo semantico particolare.
In questa storia, lo scenario più improbabile è quello dell'incontro tra un simbolo pop e un comune petroliere di Baku. L'effimero femminile e il duro lavoro brutale. Due stranieri provenienti da due mondi lontani. Una combinazione di due miti, audaci nel concetto e nella realizzazione - i luminosi ideali del comunismo e il sogno americano - l'aria di irrealtà, come la vive chi si trova in un ambiente sconosciuto. Qui solo la gentilezza e l'attenzione danno la forza di diventare se stessi in un luogo nuovo che un giorno diventa casa.
From Caspian To Pink Planet: I Am Here
Artisti: Vusala Agharaziyeva, Rashad Alakbarov e Irina Eldarova
a cura di Luca Beatrice e Amina Melikova
20 aprile - 24 novembre 2024
Arsenale, Campo della Tana, Castello 2126/A - 30122 Venezia
Inaugurazione ufficiale: giovedì 18 aprile 2024, dalle ore 12.00
Eun-Me Ahn
Pinky Pinky “Good”: San Giacomo’s Leap into Tomorrow
A cura di Hans Ulrich Obrist
Isola di San Giacomo, Venezia
18 aprile 2024, h. 12
Il 18 aprile 2024 la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo presenta Pinky Pinky ‘Good’: San Giacomo's Leap into Tomorrow, un nuovo progetto dell’artista, danzatrice e coreografa coreana Eun-Me Ahn, sull’Isola di San Giacomo nella laguna di Venezia. L’evento, a cura di Hans Ulrich Obrist, coincide con l’apertura della 60. Esposizione Internazionale d’arte - Biennale di Venezia.
Le visitatrici e i visitatori potranno tornare sull’isola, terza sede della Fondazione attualmente in restauro, la cui inaugurazione al pubblico è prevista nel 2025.
Pinky Pinky "Good" è un rituale collettivo e trasformativo di benedizione, ispirato alla tradizione sciamanica coreana e concepito per l'Isola di San Giacomo. Eun-Me Ahn invoca gli spiriti del passato su un'isola che, in tempi diversi, ha ospitato un antico monastero e una guarnigione militare dell'era napoleonica, onorando la sua nuova esistenza come luogo per l'arte contemporanea.
L'evento, prodotto dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, è reso possibile anche grazie agli sponsor Asja e UBS, allo sponsor tecnico Samsung Foundation of Culture e al supporto di PKM Gallery.
L'Art Museum dell’Università di Toronto presenta la personale di Ydessa Hendeles Grand Hotel, una mostra site-responsive curata da Wayne Baerwaldt, in collaborazione con la produttrice del progetto Barbara Edwards. In Grand Hotel, Ydessa Hendeles esplora i temi critici dell’identità culturale, delle migrazioni, del trauma intergenerazionale e della perdita che collegano il passato al presente.
La mostra, ispirata alla storia di persecuzione e migrazione familiare dell’artista, offre un’esperienza viscerale che affronta le percezioni dell’identità culturale e dell’alterità. In un contesto che richiama Il mercante di Venezia e il Ghetto Ebraico, Grand Hotel presenta un’interrogazione tempestiva sulle dinamiche psicosociali che costruiscono il nostro mondo.
Per oltre due decenni, gallerie e istituzioni leader in Nord America, Europa, Asia e Medio Oriente hanno esposto le composizioni uniche e su larga scala di Hendeles, invitando gli spettatori a trovare un riscontro individuale nelle creazioni d’ispirazione storica, intensamente personali e al tempo stesso ampiamente rilevanti. Grand Hotel segna l’ultima iterazione del corpus di opere dell’artista.
Ydessa Hendeles, cittadina canadese e polacca nata a Marburg, in Germania, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, è figlia unica di una coppia sopravvissuta ad Auschwitz, appartenente alla comunità ebraica di Zawiercie, in Polonia, cancellata durante l’Olocausto. Nel 1951 la famiglia si trasferì a Toronto per iniziare una nuova vita, dove Hendeles crebbe e iniziò il suo percorso nel mondo dell’arte contemporanea.
Durante la sua rilevante carriera come gallerista, collezionista e curatrice, ha allestito più di 100 mostre dal 1980, creando negli anni uno spazio distintivo nel mondo dell’arte. Pioniera della curatela come pratica artistica, il suo lavoro innovativo ha ispirato una nuova generazione di curatori.
Da allora, Hendeles ha continuato a sviluppare le sue “composizioni curatoriali” come una pratica artistica innovativa. Questo processo è stato elaborato in una nuova pubblicazione, The Milliner’s Daughter: The Art Practice of Ydessa Hendeles, con un’ampia analisi di Ernst van Alphen e Mieke Bal, un saggio di Emily Cadger, un’intervista di Gaëtane Verna di Markus Müller e una prefazione di Gaëtane Verna, pubblicato da Verlag der Buchhandlung Walther und Franz König, Colonia.
Grand Hotel sarà inoltre accompagnato dalle Note dettagliate di Hendeles, su ciascun elemento della mostra, essenziali per la pratica dell’artista.
Yousefzada creates a moving meditation on modernity and migration using handcrafted textile works, printworks, moving image and sculptures to transform the interiors of the historical Palazzo, converting classical grandeur into a surreal landscape where traditions meet, and the table is set. The intervention across the Palazzo is a continuation of a body of work that explores themes of unity, movement and migration in modern society. The work presents the natural evolution of ideas Yousefzada first explored within his 2022 exhibition What Is Seen and What Is Not, a solo show originally commissioned by the British Council in partnership with the V&A.
WELCOME! A PALAZZO FOR IMMIGRANTS
17 April – 7 October, 2024
Palazzo Cavalli-Franchetti, San Marco, 2847, Venice
Curated by Nadja Romain and Amin Jaffer
ROBERT INDIANA: THE SWEET MYSTERY. Evento collaterale della 60. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia
Una nuova prospettiva su uno degli artisti più iconici al mondo La mostra è visitabile dal 17 aprile al 24 novembre presso le Procuratie Vecchie in Piazza San Marco. Presentata da Yorkshire Sculpture Park e curata da Matthew Lyons
Yorkshire Sculpture Park presenta Robert Indiana: The Sweet Mystery, evento collaterale ufficiale della 60. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia, allestito presso lo storico complesso delle Procuratie Vecchie, recentemente restaurato dall’architetto David Chipperfield, vincitore del premio Pritzker. La mostra, sviluppata con The Robert Indiana Legacy Initiative, offre una prospettiva rivelatrice sull’opera di Indiana, incentrata sui temi fondamentali della spiritualità, dell’identità e della condizione umana, essenziali per comprendere l’evoluzione creativa dell’artista. Le opere in mostra ripercorrono sei decenni della carriera di Indiana e comprendono opere giovanili significative, alcune delle quali raramente esposte.
Simon Salama-Caro, fondatore e direttore di The Robert Indiana Legacy Initiative, ha dichiarato: “Con il passare degli anni è sempre più evidente come Bob Indiana sia stato uno dei più grandi artisti della nostra epoca. Aveva la straordinaria capacità di immergersi profondamente nello spirito del suo tempo, realizzando opere complesse, innovative, stratificate e di grande intensità emotiva. È meraviglioso constatare come l’eredità artistica di Bob sia ora riconosciuta alla Biennale di Venezia, dove le sue opere possono essere apprezzate sotto una nuova prospettiva accademica”.
Figura preminente dell’arte americana, Robert Indiana (1928-2018) è celebre per la serie iconica LOVE. Leader influente del Pop, si è distinto per aver affrontato rilevanti questioni sociali e politiche, inserendo nelle sue opere profondi riferimenti storici, letterari e biografici. Il titolo della mostra, The Sweet Mystery, è tratto da uno dei primi dipinti in cui Indiana ha inserito le parole, una pratica che caratterizzerà la sua carriera.
Clare Lilley, direttrice dello Yorkshire Sculpture Park e curatrice di Robert Indiana: Sculpture 1958-2018 (YSP 2022-23), ha dichiarato: “La reazione del pubblico all’opera di Robert Indiana testimonia la continua importanza di questo straordinario artista per nuove generazioni di persone diverse. Indiana ha risposto al mondo materiale reinventando e assemblando oggetti e immagini in un linguaggio nuovo, che amplifica le preoccupazioni politiche e sociali e promuove l’unità, l’accettazione e l’amore. La genialità di Indiana risiede nell’abilità di plasmare una poesia raffinata e decisa in forme materiali meticolosamente realizzate. È entusiasmante osservare come la sua opera interagirà con l’architettura delle Procuratie Vecchie e con un pubblico nuovo”.
Robert Indiana: The Sweet Mystery, curata da Matthew Lyons, rappresenta la più significativa esposizione dell’opera dell’artista in Italia. La mostra presenta oltre 40 opere, tra dipinti e sculture, che esplorano la condizione umana e la fede in tempi tumultuosi. Tra le opere principali esposte figurano The Sweet Mystery, EAT/DIE, Love is God e The Melville Triptych.
Matthew Lyons ha commentato: “Questa mostra esplora con meticolosa maestria l’uso che Indiana fa dell’autoreferenzialità per indagare profonde questioni metafisiche sulla natura della vita. Integrando nelle sue opere dettagli biografici intricati, Indiana crea non solo una narrazione personale ma sottolinea anche i legami duraturi con i movimenti artistici radicali del passato in America. Attraverso una selezione tematica di opere, la mostra funge da portale che introduce una nuova generazione di spettatori alla prospettiva Pop peculiare e trascendentale di Indiana, mentre affrontano i loro pressanti dilemmi esistenziali in questo secolo”.
La mostra è ospitata al secondo piano delle Procuratie Vecchie, mentre il terzo piano è stato dedicato da Generali alla Home of The Human Safety Net e alla mostra interattiva “A World of Potential”, un hub aperto alla comunità internazionale che tratta i temi dell’inclusione sociale, dell’innovazione e della sostenibilità.
Il catalogo della mostra sarà completamente illustrato e includerà nuovi studi sull’opera dell’artista, con contributi di Clare Lilley, Allan Schwartzman e Matthew Lyons.
Robert Indiana
Dopo un’infanzia itinerante nel Midwest americano e una formazione artistica a Chicago e in Europa, Robert Indiana giunge a New York nel 1954 utilizzando ancora il suo nome di battesimo, Robert Clark. Due anni dopo, un incontro fortuito con Ellsworth Kelly modifica il corso personale e professionale della sua giovane esistenza.
Si ritrova ben presto a vivere in un loft a Coenties Slip, un’area decadente di Lower Manhattan, dove i resti di un vivace passato marittimo si confondono con il fiorente settore finanziario. Avendo scarsi mezzi per il materiale artistico, Indiana crea assemblaggi usando i residui dell’attività portuale circostante, sviluppando parallelamente un linguaggio pittorico bidimensionale, in dialogo con l’affiatata comunità di vicini, tra cui artisti d’avanguardia come Kelly, Agnes Martin, James Rosenquist, Cy Twombly e Jack Youngerman. Durante questo periodo di fervore, in un atto di reinvenzione e rinascita si ribattezza con il nome del suo stato natale, l’Indiana. All’inizio degli anni Sessanta, realizza tele audaci, caratterizzate da geometrie pure, testi e numeri in toni non modulati, in risposta alla cultura visiva di un consumismo sempre più pervasivo. Le sue opere, ricche di reminiscenze personali e dettagli biografici, esplorano interrogativi universali sulla condizione umana e sulla fede in epoche turbolente, affrontando contemporaneamente temi legati all’identità queer e al sé. La sua peculiare forma di Pop art rappresenta un’estensione del radicalismo americano, attingendo alle radici dei trascendentalisti del XIX secolo e alla sperimentazione formale dei primi modernisti. Attraverso una selezione mirata che abbraccia oltre cinquant’anni di produzione artistica, comprese molte opere giovanili raramente esposte, Robert Indiana: The Sweet Mystery presenta Indiana a un nuovo pubblico, invitandolo a riflettere su questioni metafisiche di fronte alle sfide del XXI secolo.
Yorkshire Sculpture Park
Fondato nel 1977, YSP è un centro internazionale unico di scultura moderna e contemporanea. È un ente benevolo e un museo, situato nella tenuta di Bretton Hall, una proprietà del XVIII secolo che si estende su oltre 200 ettari nel West e South Yorkshire. Con un programma culturale straordinario, mostre itineranti e sculture permanenti e temporanee integrate nel paesaggio, nel corso della sua storia YSP ha collaborato con più di 1.000 artisti provenienti da oltre 40 Paesi. Tra questi Ai Weiwei, Fiona Banner, Tony Cragg, Leonardo Drew, Barbara Hepworth, Damien Hirst, Robert Indiana, KAWS, Lindsey Mendick, Henry Moore, Annie Morris, David Nash, Sean Scully, Chiharu Shiota, Yinka Shonibare CBE, David Smith, James Turrell, Joana Vasconcelos, Bill Viola ed Erwin Wurm.
The Robert Indiana Legacy Initiative
Fondata nel 2022, The Robert Indiana Legacy Initiative si impegna a diffondere la conoscenza e l’apprezzamento per la vastità e la profondità dell’opera di Robert Indiana. Rivolta a curatori, studiosi, collezionisti, professionisti del mercato dell’arte e al grande pubblico, The Robert Indiana Legacy Initiative gestisce una collezione e un archivio delle opere dell’artista, promuove e sostiene mostre e installazioni pubbliche, assiste e promuove la ricerca accademica su Indiana e la sua carriera artistica; gestisce il sito web ww.robertindiana.com e pubblica una newsletter.
Procuratie Vecchie
Le Procuratie Vecchie sono state aperte al pubblico per la prima volta in 500 anni di storia nel 2022, dopo un’importante opera di restauro a cura di David Chipperfield, commissionata da Generali e diretta da Generali Real Estate. Il terzo piano ospita la sede di The Human Safety Net, fondazione attiva in 26 Paesi per liberare il potenziale di chi vive in condizioni di vulnerabilità. La mostra permanente “A World of Potential” e l’Art Studio sono concepiti come un’esperienza che guida i visitatori alla scoperta della combinazione unica dei punti di forza caratteriali individuali, consentendo loro di riconoscere le migliori qualità nelle persone che li circondano.
Per informazioni e prenotazioni:
indiana@dh-office.com
Da sempre la ricerca di Eva Jospin (Parigi, 1975) trae ispirazione dalla natura in tutte le sue articolazioni semantiche e visive. Attraverso l’uso di materiali quali cartone, elementi e fibre vegetali, parti metalliche, tessuto, l’artista dà vita a composizioni plastiche anche di grande volume e dal forte impatto scenografico. Opere dal tono fiabesco, a tratti misterioso, quasi magico, che evocano o ricreano un mondo che è al centro dei propri interessi: paesaggi, alberi, piante, rami, foglie, formazioni geologiche, brani di vegetazione, strutture architettoniche che inducono a riflettere su vari temi quali la creatività, i processi operativi e intellettuali attraverso i quali essa si esplicita, oggi come in passato.
Il progetto al Museo Fortuny di Venezia lo rappresenta una volta di più: le opere, immaginate per l’occasione, dialogano non solo con il contesto storico e ambientale che le accoglie, Palazzo Pesaro degli Orfei, ma soprattutto con l’identità delle raccolte che custodisce, ovvero la produzione artistica di Mariano Fortuny.
Un dialogo che lascia emergere impreviste affinità estetiche e operative tra le poetiche dei due interpreti: un confronto e rimando continuo tra Jospin e Fortuny sulla natura, sui processi creativi e sperimentali, che trovano la massima espressione tanto nell’ideazione e ricerca sul tessuto, quanto nello studio dell’artificio e della finzione scenica, sempre connaturati all’universo teatrale, riflettendosi costantemente sui temi della prospettiva, delle proporzioni e sul rapporto visivo ed emotivo tra creazione artistica e spettatore.
La grande installazione nel portego di Museo Fortuny è una “selva” artificiale che, una volta percorsa, dà la sensazione di perdere ogni cognizione di tempo e spazio, di trovarsi in un “altrove” indefinito e disorientante.
Il fulcro dell’installazione è Galleria (2021-2024): un passaggio ad arco con soffitto a cassettoni realizzato con cartone, legno e materiali vari in cui ricorrono diverse fonti d’ispirazione del lavoro dell’artista. Alcune di queste, derivanti dai suoi viaggi in Italia, come le architetture rinascimentali e barocche, quelle classiche, capricci, rovine e fontane, ville patrizie e dimore storiche, edifici religiosi, fino alle opere nei musei. All’interno della struttura, come in uno studiolo rinascimentale, trova posto una sequenza di pannelli in legno, cartone e collage alternati a disegni che raffigurano delle vedute che, pur facendo riferimento a elementi della quotidianità, evocano un mondo lontano, fiabesco, quasi mistico come quello delle atmosfere simboliste e nabis.
Alle estremità del corridoio si trovano due composizioni plastiche che ne costituiscono il duplice ingresso. La prima, anch’essa chiamata Galleria (2021-2024), riproduce quasi a dimensione naturale una sezione di foresta resa ancora più credibile dai colori bruni del legno e della fibra di cellulosa che le danno consistenza. La seconda, Nymphées (2022-2024), appare come un omaggio dell’artista alla tradizione architettonica veneziana dal XVI secolo in poi: una serliana articolata in un’apertura centrale ad arco e due laterali trabeate al cui interno sono appesi due ricami incorniciati, sovrapposti, a loro volta, ad altri ricami seguendo una modalità espositiva che ricorre anche nell’allestimento dell’atelier di Mariano Fortuny al piano superiore del museo. Chiusa ai lati da due pannelli i dipinti a trompe-l’oeil di soggetto agreste fanno eco a quelli eseguiti da Fortuny nel “giardino d’inverno” al primo piano dell’abitazione.
Sul fondo del portego si accede a una sala ove, affiancato da alcune prove grafiche a inchiostro riferibili ai due ricami più grandi, trova posto Carmontelle (2023), un panorama “animato” ispirato ai paesaggi trasparenti ideati da Louis Carrogis de Carmontelle (Parigi 1717-1806): vedute incise su tela e fatte ruotare su un rotolo di carta teso tra due strutture cilindriche usate come sfondo per azioni sceniche e teatrali. In maniera analoga Jospin elabora una veduta traforata mossa da un dispositivo meccanico che rievoca, idealmente, quelli concepiti dal pittore e architetto francese del XVIII secolo tanto nella struttura quanto nella funzione scenica e, al tempo stesso, richiama l’attività svolta da Fortuny nel campo della scenografia.
Un invito a perdersi e a ritrovarsi in una dimensione “altra” della foresta, in grado di suscitare pura meraviglia. Una grande allegoria che racchiude un insieme denso e articolato di stati emotivi e riflette vari livelli della dimensione sensoriale e intellettuale dell’individuo, dallo stupore al divertimento, dalla sorpresa al senso di smarrimento e di timore, nei quali ciascuno può ritrovarsi.
Museo Fortuny
San Marco 3958
30124 Venezia
Tel. +39 041 5200995
fortuny.visitmuve.it
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FIRMITAS UTILITAS VENUSTAS. A NEW PARADIGM è il ciclo di azioni e performances che si svolgerà dal 18 al 20 aprile all’interno del programma del Padiglione del Congo alla 60. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia 2024.
L’evento, curato da Federica Forti e coordinato da Changbei Wu, vede la partecipazione dei seguenti artisti: Primož Bizjak (Slovenia, 1976. Vive e lavora a Madrid), Alessandro Librio (Italia, Sicilia, 1982. Vive e lavora a Parigi), Francesco Lauretta (Italia, Ragusa, 1964. Vive e lavora a Firenze) e Luigi Presicce (Italia, Lecce, 1976. Vive e lavora a Firenze) fondatori della Scuola di Santa Rosa, Tao Qiu (Cina, 1980), Kay Zevallos Villegas (KAY) (Lima, Peru. Vive e lavora a Parigi), Stephan Zimmerli (Parigi, Francia, di origini svizzero vietnamite).
Le performances si terranno alla Gervasuti Foundation Londra Venezia - Palazzo Canova, sede del Padiglione del Congo e le azioni al Caffè Lavena, in Piazza San Marco.
“Partendo dal concetto di “Stranieri Ovunque”, tema lanciato dal curatore della °60, Adriano Pedrosa, il progetto riflette sulla città di Venezia. Il turismo di massa impone una dipendenza economica e allo stesso tempo una schiavitù culturale. Venezia torna ad essere autentica alle 5:50 del mattino (da qua il titolo), poi la macchina si risveglia e dimentica tutto.
“È Venezia la città in cui il paradigma vitruviano firmitas, utilitas, venustas sembra incarnato in ogni dettaglio che l’occhio attento possa accarezzare con lo sguardo. Questo non è stato solo un criterio costruttivo o estetico. Venezia è stata crocevia di culture tenute insieme con gli stessi principi. Oggi, a nostro avviso è lei la vera esclusa, la “Straniera Ovunque”. I pochi cittadini rimasti, l’enorme turismo di massa da contingentare, la Biennale con i suoi abitanti alieni. Un patrimonio materiale e immateriale da preservare“ (dichiara Federica Forti, curatrice del progetto).
“La mission della Gervasuti Foundation è portare l’attenzione sugli argomenti scomodi che necessitano un megafono per essere gridati. Quest’anno con il progetto Lithium, il Padiglione Congo sta puntando i riflettori sulla post-antropizzazione, cioè sullo sfruttamento distruttivo delle risorse rivenduto come exit strategy per fronteggiare e risolvere gli stessi problemi che sta causando. Per questo motivo il Padiglione Congo ha scelto il progetto come evento inaugurale. Gli artisti selezionati hanno tutti sperimentato la condizione di essere “stranieri ovunque” (ed è forse proprio la condizione di artista ad esserlo) e portano a Venezia una riflessione sulla città, una indagine oggettiva da più punti di vista, ma offrono anche – a chi voglia coglierlo- una pratica ispirata proprio ai valori vitruviani ed al recupero dei valori di stabilità di una comunità in dialogo, conoscenza del fare e bellezza, che ognuno di noi può applicare” (aggiunge Michele Gervasuti, presidente della Gervasuti Foundation London Venice).
“Al centro una intelligenza anti-ficiale, cioè un fare artigianale, una lentezza ed un approccio intellettuale che ci serviranno presto se vogliamo dialogare con l’intelligenza artificiale” (conclude Federica Forti, curatrice del progetto).
L’evento è supportato dagli sponsor Botanica srl e Y+ ART SPACE (schede in cartella stampa) che vogliamo sentitamente ringraziare per aver creduto nel valore della iniziativa.
“Con grande piacere e consapevolezza supportiamo il lavoro di questi artisti su un tema per noi cruciale, quale la relazione e la connessione con i luoghi preservandone la natura e l'identità. Nel nostro parco botanico portiamo avanti con il Radicepura Garden Festival riflessioni intorno al paesaggio mediterraneo come espressione profonda di un modo di sentire e agire nel rispetto dei tempi lenti della natura, della capacità di rigenerarsi e resistere. Ecco allora che attraverso il linguaggio dell’arte si moltiplicano le occasioni di indagine che ci portano a cercare un modo possibile di coesistere nel nome dell’armonia, dell'essere parte di un ecosistema che l’uomo da secoli tenta di governare, ma che ci mostra sempre la sua forza veemente. Non a caso il prossimo tema sarà caos e giardino, definendo già due poli e due ambiti di discussione e pratica, sentendoci ancora di più in sintonia con le istanze presentate a questa edizione della Biennale” (dichiara Mario Faro, CEO di Botanica srl e Ideatore del Radicepura Garden Festival).
“Y+ ART SPACE è estremamente onorato di essere stato invitato a partecipare a questo progetto artistico. L'artista cinese Qiu Tao presenta il progetto artistico site specific "Domande sulla materia: memorie di latitudine e longitudine (Venezia)". Questa serie stata ideata per la prima volta a Macao, Cina, e ora, nella Piazza San Marco della Biennale di Venezia del 2024, la sua collaborazione con il team curatoriale porterà ancora una volta la sua pratica partecipativa”.
FIRMITAS UTILITAS VENUSTAS. A NEW PARADIGM riflette su “Venezia Straniera ovunque”, una città che non riconosce sè stessa, e che allo stesso tempo non è più compresa. La riscoperta dei tre valori su cui la città si fonda: firmitas, utilitas, venustas, come nuovo paradigma, invoca la ricostruzione di una comunità di individui consapevoli.
Alla Gervasuti Foundation, sede del Padiglione del Congo, si inaugura il giovedì 18 aprile, alle ore 22:00, con la performance e installazione site specific che realizzata insieme dagli artisti Kay Zevallos Villegas (KAY), Alessandro Librio e Stephan Zimmerli.
Il programma continua il giovedì 18, venerdì 19 e sabato 20 aprile, dalle 16:30 alle 20:30, presso lo storico Caffè Lavena. Primož Bizjak con il banco ottico, strumento privilegiato dall’artista, mostrerà una visione di città capovolta (come potrebbe essere se tutto tornasse com’era) da osservare lentamente. Nel mentre, in tre tavoli del Lavena, proprio su Piazza San Marco, lavoreranno agli altri artisti invitati.
La Scuola di Santa Rosa (Francesco Lauretta e Luigi Presicce) presenta una tappa veneziana del progetto omonimo ideato da Lauretta e Presicce per ritrovare un senso di comunità ed il piacere di condividere la pratica del disegno: sarà possibile partecipare disegnando liberamente in compagnia di altre persone. Gli altri due tavoli sono concepiti come colloquio intimo e individuale con l’artista: Tao Qiu inviterà a partecipare alle sue time capsules “tracing the objects” che conterranno informazioni su chi si trovava nello stesso luogo e alla stessa ora in Piazza San Marco. Le capsules saranno poi nascoste in angoli remoti di Venezia e lasciate ai posteri come archeologia futuribile. Stephan Zimmerli disegnerà live una psicogeografia di mappe mentali di Venezia, basate sul racconto orale dei partecipanti. Per partecipare a questa seduta (durata: 20 minuti) sarà necessario prenotarsi alla mail: stephan.zimmerli@gmail.com
Sono stati attribuiti all’artista brasiliana (italiana di nascita), Anna Maria Maiolino e all’artista turca (risiedente a Parigi) Nil Yalter i Leoni d’Oro alla carriera della 60. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia – Stranieri Ovunque -Foreigners Everywhere.
La decisione è stata approvata dal Cda della Biennale presieduto da Roberto Cicutto, su proposta di Adriano Pedrosa, Curatore della 60. Esposizione.
La cerimonia di premiazione e inaugurazione della Biennale Arte 2024 si terrà sabato 20aprile 2024 a Ca’ Giustinian, sede della Biennale di Venezia. La Mostra aprirà al pubblico nello stesso giorno alle ore 11.
“Questa decisione è particolarmente significativa - ha dichiarato Adriano Pedrosa -alla luce del titolo e del contesto della Mostra, incentrata su artisti che hanno viaggiato e migrato tra Nord e Sud, Europa e altri Paesi, o viceversa. La mia scelta, in tal senso, ricade su due artiste straordinarie e pionieristiche, nonché migranti, che incarnano in molti modi lo spirito di Stranieri Ovunque - Foreigners Everywhere: Anna Maria Maiolino(Scalea, Italia, 1942; vive a San Paolo, Brasile), emigrata dall’Italia al Sud America, prima in Venezuela e poi in Brasile, dove oggi vive, e Nil Yalter (Cairo, Egitto, 1938; vive a Parigi, Francia), turca, trasferitasi dal Cairo a Istanbul e infine a Parigi, dove risiede.”
Entrambe le artiste parteciperanno per la prima volta alla Biennale Arte nel 2024: Maiolino con una nuova opera di grandi dimensioni che prosegue e sviluppa la serie delle sue sculture e installazioni in argilla; Yalter con una riconfigurazione della sua innovativa installazione Exile is a hard job, insieme alla sua opera iconica Topak Ev, collocate nella prima sala del Padiglione Centrale.
NOTE BIOGRAFICHE
Anna Maria Maiolino nasce il 20 maggio 1942 a Scalea, in Italia, per poi emigrare con la famiglia a Caracas, in Venezuela nel 1954, pochi anni dopo la Seconda Guerra Mondiale. Lì studia alla Escuela de Artes Visuales Cristóbal Rojas, tra il 1958 e il 1960, anno in cui si trasferisce a Rio de Janeiro, in Brasile, dove frequenta i corsi liberi di pittura, scultura e xilografia de la Escola Nacional de Belas Artes. Passa a dedicarsi a questa tecnica che le permette di connettersi con la xilografia popolare praticata del nord est del Brasile; la utilizzerà per diversi anni proprio perché intrisa di critica sociale.
L’artista si dichiara un’autodidatta. Attraverso la frequentazione della Escola de Belas Artes e degli artisti di Rio, Maiolino entra a far parte del noto movimento artistico brasiliano chiamato Nova Figuração, una reazione all’astrazione degli anni Sessanta contaminata da inflessioni pop, che rispecchiano anche il duro clima politico del Paese durante i primi anni della dittatura militare (1964-1985). In quel periodo Maiolino continua a sviluppare il proprio linguaggio e le proprie competenze, frequentando i famosi corsi d’arte tenuti da Ivan Serpa (1923-1973) presso il Museu de Arte Moderna do Rio de Janeiro. Nel 1964 tiene la prima mostra personale alla Galeria G a Caracas e nel 1967 partecipa alla storica esposizione Nova Objetividade Brasileira a Rio de Janeiro. Tra il 1968 e il 1971 Maiolino vive a New York. Nell’ultimo anno, su indicazione di Luis Camnitzer, riceve una borsa di studio presso The Pratt Graphics Center e pratica la tecnica di incisione su metallo, acquaforte, allargando i propri orizzonti artistici a vari media e alla poesia sperimentale. I suoi dipinti e le sue incisioni degli anni Sessanta sono piuttosto radicali, poiché combinano l’immaginario pop con il repertorio tipico della Nova Figuração, concentrandosi su personaggi e narrazioni politiche, oltre che su riferimenti personali, corporei e familiari.Tra gli anni Settanta e Ottanta Maiolino comincia a dedicarsi all’arte performativa e, nel 1981, mette in scena il suo sorprendente Entrevidas, in cui decine di uova sono sparse sul pavimento e sfidano l’artista a percorrere lo spazio come fosse un “campo minato”, tenendo conto della fragilità e della precarietà dell’uovo, simbolo della vita stessa.
All'inizio degli anni Novanta intraprende la lavorazione dell’argilla, segnalando una nuova attenzione per l’espressione gestuale e sensoriale, il fatto a mano e il rapporto con la materia terra, l’argilla, materiali elementari in sculture e rilievi che perdurano fino a oggi.
Per la 60. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia Maiolino presenterà una nuova opera di grandi dimensioni che prosegue e sviluppa la serie di sculture e installazioni in argilla. Si tratterà della sua prima partecipazione alla Biennale Arte.
Nel corso della sua carriera, Anna Maria Maiolino ha tenuto numerose mostre di rilievo e retrospettive, tra cui quelle all’Instituto Tomie Ohtake di San Paolo (2022), al PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano, alla Whitechapel Art Gallery a Londra (2019), al Museum of Contemporary Art di Los Angeles (2017), alla Fundació Antoni Tàpies a Barcellona (2010) e al Drawing Center di New York (2002). Ha partecipato, tra l’altro, alla Biennale di Lione (2017), alla Biennale di Gwangju (2014), alla Biennale di San Paolo (2010, 1998, 1991, 1994, 1967), alla Biennale di Sydney (2008) e alla Biennale dell’Avana (1984). Le sue opere sono presenti nelle collezioni del Castello di Rivoli(Torino), della Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, del Museo d’Arte Moderna di Bologna, del Museum of Modern Art a New York, del Museum of Contemporary Art di Los Angeles, del Museu de Arte de São Paulo Assis Chateaubriand, del Museu de Arte Moderna do Rio de Janeiro, della Tate nel Regno Unito.
Nil Yalter è un'artista turca nata al Cairo, in Egitto, il 15 gennaio 1938 e trasferitasi a Parigi nel 1965, dove vive tuttora. È considerata una pioniera del movimento artistico femminista mondiale. Yalter non ha mai ricevuto un'istruzione formale nel campo delle arti visive e, come autodidatta, ha condotto una costante ricerca sulle proprie pratiche e aree di interesse che vanno dalla pittura al disegno, dal video alla scultura all’installazione. La sua carriera artistica è iniziata nel 1957, quando ha tenuto la sua prima mostra presso l'Istituto Culturale Francese di Mumbai, in India. Tuttavia, è durante gli anni Sessanta che approfondisce la sua pratica.
Dopo essersi trasferita a Parigi nel 1965, l'opera di Yalter inaugura un capitolo davvero radicale e pionieristico, poiché inizia ad affrontare temi sociali, in particolare legati all'immigrazione e alle esperienze femminili, in un'esplorazione e in uno sviluppo davvero unici delle pratiche artistiche concettuali. Nel 1973, Yalter crea l'innovativa installazione Topak Ev, esposta in una mostra personale al Musée d'Art Moderne de la Ville de Paris. L'anno successivo presenta un'opera video fondamentale, The Headless Woman, che affronta il tema della liberazione sessuale delle donne e dell'oggettivazione orientalista delle donne mediorientali. Un'altra opera singolare del 1974 è La Roquette, Prison de Femmes (realizzata con Judy Blum e Nicole Croiset), che presenta le testimonianze di un'ex detenuta del famoso carcere femminile francese. La sua opera Temporary Dwellings, esposta per la prima volta nel 1977, approfondisce la vita dei lavoratori migranti raccontata dalle donne. Nel 1980 Yalter presenta per la prima volta un altro lavoro molto radicale, costituito da una videoproiezione personale e una conferenza dal titolo Rahime, Femme Kurde de Turquie al Centre Georges Pompidou di Parigi. Gli anni Novanta segnano per Yalter un periodo di esplorazione creativa e di riconoscimenti, durante il quale sperimenta i media digitali.
In occasione della 60. Esposizione Internazionale d'Arte, Yalter presenterà una riconfigurazione della sua innovativa installazione Exile is a hard job, insieme alla sua iconica opera Topak Ev (1973), collocata nella prima sala del Padiglione Centrale dei Giardini. Questa sarà la prima partecipazione dell'artista alla Biennale Arte.
Nil Yalter ha tenuto mostre retrospettive e personali al Ludwig Museum di Colonia, all'Hessel Museum of Art di Annandale-on-Hudson, a New York, al Musée d'Art Contemporain du Val-de-Mame, in Francia, al Musée d'Art Moderne de la Ville de Paris, al Centre Georges Pompidou di Parigi e in molte altre sedi. Ha partecipato, tra le altre, alla Biennale di Sharjah (2023), alla Biennale di Berlino (2022), alla Biennale di Gwangju (2014), alla Biennale di Istanbul (2013), alla Biennale di San Paolo (1979), alla Biennale di Parigi (1977). Le opere di Yalter sono presenti nelle collezioni dell'Istanbul Modern, del Centre Pompidou di Parigi, del F.N.A.C. Fonds National d'Art Contemporain in Francia, della Tate nel Regno Unito, del Museum Ludwig di Colonia, del Museo Reina Sofia di Madrid e di molti altri.